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Le piramidi di Segonzano

 

In occasione della Giornata mondiale della Montagna, questa settimana vi proponiamo un sentiero molto famoso ed accessibile: il sentiero delle piramidi di Segonzano.

Tuttavia, prima di addentrarci nella scoperta delle piramidi di terra, vorremmo “georeferenziare”  la meravigliosa  valle che ospita questo percorso.

Nel cuore del trentino, non lontano dalle famose Dolomiti, troviamo la bellissima Val di Cembra. Questa valle con i suoi ricchi terrazzamenti coltivati a vite, contrasta la copertura omogenea delle conifere, celebrando il connubio delicato tra uomo e natura.

I terrazzamenti ospitano un mosaico di uve: dal profumato Müller Thurgau, alla delicata Schiava, l’intenso Pinot Nero  fino al  fresco Chardonnay i quali rendono questo paesaggio un ricco patrimonio da preservare.

In aggiunta, per gli amanti dell’avventura, è presente una ricca rete di sentieri percorribili durante tutto l’anno,  che rendono questa valle particolarmente attraente in tutte le stagioni.

Tra questa rete di sentieri, abbiamo scelto quello che vi porta a scoprire una delle più strane formazioni geologiche del trentino: le piramidi di terra.

Il punto di partenza delle Piramidi di Segonzano è situato sulla strada provinciale che collega Lases  a Segonzano, all’altezza del ponte sul Rio Regnana.

Il percorso si snoda tra boschi misti di conifere e latifoglie, che guidano alla scoperta dei quattro gruppi delle piramidi di terra.

Ma cosa sono le piramidi di terra?

Ci sono numerose decrizioni del fenomeno che ha portato alla formazione delle piramidi, tuttavia la presentazione del prof Giuseppe Nangeroni è un connubio  perfetto tra  poesia ed informazione:

“Meravigliose rovine, meravigliosi resti della natura, opera di demolizione, per nostra fortuna non ancora giunta agli estremi, dall’acqua e dalle intemperie su un’altra opera costruita dalla natura. I ghiacciai hanno edificato, eliminando dalle montagne tutto il materiale roccioso, finissimo e gigantesco, che le montagne in disfacimento ad esso cedevano, o scavando come un bulldozer il fondo ed i fianchi delle vallette che percorrevano, e trasportando a valle, ed abbandonando ogni cosa ove il fiume di ghiaccio cessava di essere tale, per trasformarsi in un vero fiume di acque lattiginose, ed ecco l’aria, le piogge, il gelo e numerosi esigui rigagnoli, intaccare questo monumento, grande, ma privo di estetica, trasformandolo in un insieme ordinato di quinte, di veli, di erte piramidi più o meno durature, in un insieme di piccoli elegantissimi monumenti”.

Queste stravaganti architetture, sono quindi il risultato del deposito morenico dei ghiacciai e dell’azione combinata degli agenti atmosferici che hanno eroso ed asportato materiale di varia natura e granulometria.

Quando ci affacciamo ad osservare queste eleganti opere naturali, non possiamo far a meno di notare che alcune di esse non sono sormontate da massi.

L’enorme “sasso” di porfido adagiato sopra la piramide, fornisce protezione dall’azione erosiva della pioggia e insieme alla vegetazione, consente di preservare queste delicatissime strutture che altrimenti sarebbero destinate a scomparire.

Quello che noi vediamo emergere con ammirazione dalla natura, e solo una minima parte delle piramidi esistenti prima della violenta alluvione del 1882 che colpì la Val di Cembra.

La prima documentazione visiva è stata fornita dal pittore tedesco Dürer nell’autunno del 1494, ma solo i primi anni dell’800 abbiamo immagini delle piramidi come le conosciamo noi.

Come riporta infatti l’inserto di Elio Antonelli “Quanto fossero belle e incantevoli tutte le svariatissime forme delle piramidi ce ne ha dato un saggio la sensibilità artistica dei pittori; poi l’amore dei grandi fotografi dei primi decenni del ’900 i quali con i loro scatti ci hanno documentato l’evolversi dell’intero fenomeno in immagini impressionanti”.

Gli agenti atmosferici non sono gli unici responsabili della distruzione di queste opere ma anche alcune attività umane, di voga nel periodo della guerra.

Sembra infatti  che alcune  piramidi siano state distrutte dall’artiglieria austriaca, che si esercitava con i cannoni al tiro a segno.

Fino alla metà del secolo scorso gli abitanti di Segonzano le chiamavamo solo gli “Slavini”,  e solo successivamente alcuni studiosi hanno iniziato a  chiamarle “Omeni de Segonzan”, forse per la forma di certi massi  che ricordavano i cappelli usati dagli abitanti.

Numerose sono le testimonianze e numerosi sono i nomi attributi a queste opere, ma la loro bellezza va assaporata dal vivo.

Vi consigliamo vivamente di percorrere questo meraviglioso sentiero.