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Un welfare alternativo: la solidarietà

 

Lo scorso 17 Ottobre si è tenuta la Giornata Mondiale per l’Eliminazione della Povertà. A tal proposito vorremmo vedere come viene concettualizzata, ma soprattutto quali sono le possibili risorse che possono essere utilizzate per arginarla?

La stratificazione sociale

Introduciamo questa tematica parlando di stratificazione sociale. Questo termine è usato nelle scienze sociali per indicare il sistema di disuguaglianze strutturali di una società. Uno strato, quindi, può essere definito come: “(…) un insieme di individui (o di famiglie) che godono della stessa quantità di risorse (ricchezza, prestigio) o che occupano la stessa posizione nei rapporti di potere”. [1] Considerando questa definizione si può affermare che la stratificazione sociale sia universale, cioè sia esistita in tutte le società che conosciamo. La società moderna, nata dalla rivoluzione francese, è caratterizzata dall’uguaglianza di diritto di tutti i suoi membri. Tuttavia, pur essendo uguali di diritto, i cittadini non lo sono di fatto in quanto ancora oggi sussistono delle grosse differenze sociali tra di essi che non sono casuali.[2]

Gli status

In accordo con il sociologo tedesco Max Weber le fonti delle disuguaglianze sociali sono da ricercare in tre diverse sfere: l’economia, la cultura e la politica. Da ciò, il sociologo Gerhard Lenski ed altri sociologi americani arrivarono alla conclusione che esistono diverse gerarchie (di reddito, di potere, di istruzione, di prestigio, ecc.) legate a diversi status e ciascun individuo occupa una posizione in ognuna di queste gerarchie. All’interno di queste gerarchie è possibile una certa mobilità sociale, che è definita come ogni passaggio di un individuo da uno status ad un altro. Noi prenderemo in considerazione la mobilità sociale verticale, che indica lo spostamento ad una posizione più alta o più bassa nel sistema di stratificazione sociale.  Che effetti ha sulle persone la mobilità sociale, specialmente quando si parla di un passaggio da una posizione più alta ad una più bassa?

L’Istat dichiara che:“Nel 2016 si stima che 1 milione 619mila famiglie (6,3% delle famiglie residenti) siano in condizione di povertà assoluta in Italia, [calcolata sulla base di una soglia corrispondente alla spesa mensile minima necessaria per acquisire un paniere di beni e servizi considerato essenziale nel contesto italiano] per un totale di 4 milioni e 742mila individui (7,9% dell’intera popolazione). Se il numero di famiglie in povertà assoluta torna ai livelli del 2013 (quando erano 1 milione 615mila), il numero degli individui registra invece il valore più alto dal 2005; ciò è avvenuto perché la povertà assoluta è andata via via ampliandosi tra le famiglie con quattro componenti e oltre e tra quelle con almeno un figlio minore” [3]

Questi dati ovviamente si riferiscono ad un cambiamento di status economico, che come descritto peggiorano, ad esempio, con l’aumentare dei figli. Questo ci fa riflettere sulla varietà di cause per cui si può passare da uno status economico ad un altro, come ad esempio un matrimonio, un lutto, una separazione o un periodo in carcere.[4]

Fin ora abbiamo parlato di una sola gerarchia ovvero quella economica ma, come dicevamo prima, in ogni società vi sono diverse gerarchie e ciascun individuo occupa una posizione in ognuna di esse. Si parla di “squilibrio di status” quando un individuo non si trova allo stesso livello in tutte le gerarchie e occupa una posizione alta in una e bassa in un’altra. Ne sono esempi il nobile decaduto ed impoverito, il medico nero americano, l’industriale analfabeta o il laureato che fa il commesso nei grandi magazzini. È vero anche che per esserci squilibrio di status non è sufficiente una differenza nelle posizioni occupate. È necessario anche che questa differenza sia in contrasto con le aspettative della società. Come ad ogni cosa, ad una causa corrisponde un effetto. Cosa ci riserva lo squilibrio di status?

“La situazione di squilibrio di status è causa di frustrazioni e di tensioni per colui che vi si trova e può provocare il suo isolamento sociale, l’emergere di disturbi psicosomatici o la sua politicizzazione o radicalizzazione”.[5]

La solidarietà come risposta

In un periodo storico in cui il welfare è in crisi, vi sono alcune visioni alternative che pongono al centro della questione la crescente fragilità sociale del Paese.[6]

Quali sono le risposte a questo malessere sociale? Una bella ed importante riflessione l’abbiamo trovata consultando la pagina web di Labsus, il laboratorio per la sussidiarietà[7],

in cui si afferma: “Nessuno può farcela da solo. Una prospettiva interessante anche dal punto di vista politico, perché indica la necessità di spazi e luoghi inediti per la discussione, il confronto, l’elaborazione delle idee, che possono integrare il sistema tradizionale della delega e della rappresentanza democratica, magari correggendone alcuni limiti”.[8]

Questo vale soprattutto se si parla di politiche pubbliche locali in cui i temi proposti come rilevanti sono il recupero di una funzione comunitaria del servizio sociale, l’approccio comunitario alle pratiche di cura e rigenerazione dei beni comuni come nuova strategia di sviluppo e l’idea che le persone sono portatrici di esperienze e competenze, quindi di risorse e valori, economici e sociali.

Questo sarebbe un investimento dal forte valore sociale che contribuisce allo sviluppo economico di una comunità e all’accrescimento delle condizioni per adulti e bambini che la vivono.[9] Minimo comune denominatore a tutti questi temi è la solidarietà, che non è concettualizzata come un valore astratto, bensì essa deve essere sviluppata nelle pratiche quotidiane legate alle nuove concezioni di politiche sociali. A questo punto non può non venire in mente che la solidarietà è stata uno dei valori fondamentali della cooperazione in Trentino e ancora oggi possiamo vedere molti effetti positivi legati a questa forma organizzativa.[10]

Le esperienze di welfare locale che più si avvicinano a questa prospettiva sono quelle che puntano a promuovere lo sviluppo di capitale sociale all’interno delle comunità. Ma cosa è il capitale sociale?

“In prima approssimazione, si può dire che il capitale sociale è il patrimonio di relazioni di cui dispone una persona e che questa può dunque impiegare per i suoi scopi”.[11] Questo concetto è interessante in quanto lega una persona alle altre con cui entra in contatto e si può affermare come esso può rappresentare una sorta di bene pubblico immateriale di cui usufruisce l’insieme degli attori sociali. Oltre la solidarietà, altre componenti del capitale sociale sono la coesione, la fiducia, il senso di appartenenza, lo spirito civico. Tutto ciò concorre nella produzione di valore sociale ed economico. In conclusione, riguardo la produzione di capitale sociale, una soluzione proposta coincide con il principio di sussidiarietà, ovvero il principio per cui avviene una cessione di alcuni poteri da parte del governo centrale, nei confronti della forma organizzativa più vicina ai cittadini e come viene affermato da Labsus: “Ne deriva l’urgenza di assumere questa prospettiva nelle pratiche di welfare locale, integrando gli obiettivi di politica sociale con quelli di promozione della cittadinanza attiva, di amministrazione condivisa dei beni comuni, di promozione del capitale sociale delle comunità. Un patrimonio che va coltivato, alimentato e sviluppato con maggiore intenzionalità, come vuole il dettato costituzionale. Soprattutto al tempo della scarsità delle risorse e della crisi della democrazia.

‘Fare di più con meno’ diventa così un paradosso praticabile, una traccia di lavoro possibile, su cui vale la pena di investire il proprio impegno sociale e professionale”.[12]

 

Bibliografia

Bagnasco A., Barbagli M., Cavalli A. (2007), Corso di sociologia, il Mulino, Bologna.

Guida alla cooperazione trentina, Storia, valori e regole del movimento cooperativo nel contesto internazionale

 Sitografia

http://www.welfareindexpmi.it/vantaggi-fiscali/trasformazione-sociale-bisogni-welfare/

https://www.istat.it/it/files/2011/02/sessione6.pdf

https://www.istat.it/it/files/2011/02/sessione6.pdf

http://www.labsus.org/2016/07/welfare-locale-beni-comuni-e-capitale-sociale/

http://www.istat.it/it/files/2017/07/Report_Povert%C3%A0_2016.pdf

Curiosità e spunti

“Sa Paradura”, un’ usanza sarda simbolo di unione e solidarietà

https://www.iene.mediaset.it/video/quando-l-unione-fa-la-forza_12601.shtml

Citazioni

[1] Bagnasco A., Barbagli M., Cavalli A. (2007), Corso di sociologia, il Mulino, Bologna.

[2] Ibidem

[3] http://www.istat.it/it/files/2017/07/Report_Povert%C3%A0_2016.pdf

[4] https://www.istat.it/it/files/2011/02/sessione6.pdf

[5] Bagnasco A., Bargagli M., Cavalli A., 2007

[6] http://www.welfareindexpmi.it/vantaggi-fiscali/trasformazione-sociale-bisogni-welfare/

[7] http://www.labsus.org/progetto/

[8] http://www.labsus.org/2016/07/welfare-locale-beni-comuni-e-capitale-sociale/

[9] http://www.labsus.org/2016/07/welfare-locale-beni-comuni-e-capitale-sociale/

[10] Guida alla cooperazione trentina

[11] Bagnasco A., Bargagli M., Cavalli A., 2007

[12] http://www.labsus.org/2016/07/welfare-locale-beni-comuni-e-capitale-sociale/